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Luigi di Montfort: una personalità vivace e creativa

Un santo deve apparire tale fin dal­ la nascita. Il genere letterario agio­grafico prevede unicamente racconti edificanti. Si evidenziano le virtù e si tacciono i difetti. Si fa spazio a episodi meravigliosi e straordinari, prefigurando futuri miracoli.  Il realismo di una progressiva maturazione viene ignorato.

Non fanno eccezione le biografie di Luigi Maria di Montfort. Si raccontano volentieri le sue doti positive, mentre si cercano di scusare o di tacere gli aspetti problematici della sua personalità.

È luogo comune parlare delle “singo­larità” di Montfort: termine a metà strada tra originalità e bizzarria. Lo si descrive come austero, introverso, quasi asociale, amante della solitudine e delle peniten­ze più dure. Per comprendere il perché di una simile lettura, va ricordato che i primi biografi di Montfort sono di estra­zione sulpiziana.

La formazione di Montfort, oltre che in famiglia, avviene in due ambienti fra loro differenti: nel collegio dei Gesuiti, a Rennes, per gli studi medi e superio­ri; nel seminario dei Sulpiziani, a Parigi, per gli studi teologici. I Gesuiti lasciano spazio alla creatività dei singoli alunni; i Sulpiziani, formatori in molti seminari di Francia, tendono a uniformare lo stam­po del prete ideale. Le “singolarità” non sono ammesse.

Montfort adolescente compie i primi passi in società come alunno dei Gesuiti. Inizialmente appare riservato, ma capace di iniziative coraggiose. Un giorno, ina­spettatamente, interviene per esempio a difesa di un compagno bullizzato; un’altra volta va in aiuto di un alunno povero facendo una colletta per lui tra i compagni; entra a far parte di un gruppo extra-scola­stico che visita malati in ospedale, segue lezioni private di pittura. Ha tutta l’aria di voler essere intraprendente e creativo.

Nel seminario dei Sulpiziani invece non ha vita facile. Lo si vuole ridurre ne­gli schemi del prete-tipo: niente originalità, ritenute espressione di superbia. Infatti lo si umilia in pubblico sistematicamente. Montfort accetta tutto come prova, ma non si lascia modificare nel suo spirito entusiasta. Diventerà un prete missionario itinerante, fuori dagli schemi, capace di iniziativa, anzi “sempre pronto a rischia­re e intraprendere qualcosa di grande per Dio”, scriverà in una sua lettera.

Le incomprensioni che incontra sono il frutto di questa personalità vivace e creativa. Trova opposizione soprattutto in ambito clericale, perché innovativo nelle forme di missione; qualcuno riesce a mettergli contro il vescovo, a farlo al­lontanare.

Ma non è così quando i vescovi lo co­noscono davvero, fino a difenderlo, pro­teggerlo e sostenerlo nei suoi progetti apostolici coraggiosi.

Nelle biografie si scrive sbrigativa­mente che è stato sconfessato da diversi vescovi, ma la realtà è diversa. I malinte­si, frutto di cattiva informazione, si chia­riscono in genere entro qualche giorno. Solo il caso di Poitiers è più complesso; là Montfort aveva suscitato una reazione più forte tra il clero, perciò il vescovo, pur stimandolo, decide di allontanarlo per conservare la tranquillità in diocesi.

Montfort aveva un’ascetica personale conforme alla men­talità del suo tempo: peniten­ze corporali, austerità di vita, disciplina che rifugge da ogni comodità. Il desiderio era di conformarsi alla vita di Gesù e alla sua croce. Un tenore di vita adottato per sé stesso, ma che non imponeva agli altri. Testimoni diretti raccontano invece della sua amabilità, della dolcezza con cui acco­glieva tutti, specie i più biso­ gnosi; era per tutti “il buon Padre di Montfort”.

Degno di nota il suo attivi­smo nel raccogliere aiuti, ele­mosine, cibo, vestiti, per do­narli in carità ai poveri.

Va anche riconosciuta una progressiva maturità raggiun­ta. Da giovane, preso da zelo, si imponeva privazioni e mor­tificazioni che da adulto mo­dificava. Penitenze corporali gratuite, relazioni sociali vo­lutamente ridotte al minimo essenziale, tanto da farlo sembrare scon­troso e asociale, ma con il tempo mitiga­te o del tutto trasformate.

Il suo ministero missionario è durato solo 16 anni, ma il bilancio delle opere intraprese è straordinario: tante missio­ni predicate, viaggi compiuti (sempre a piedi), restauro di chiese, costruzione di calvari, organizzazione di gruppi di pre­ghiera e confraternite, rinnovo della vita spirituale in tante parrocchie, primi pas­si di fondazione delle sue congregazioni. E una mente fervida, capace di com­porre brevi scritti spirituali, dallo stile rapido e incisivo, ma densi di contenuto, così come la grande opera dei Cantici, una raccolta di circa 160 lunghe compo­sizioni, per un totale di 22.000 versi, sin­tesi di un completo manuale catechistico e spirituale.

Battista Cortinovis

L’Apostolo di Maria, febbraio 2022, pp. 32-33