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L’ Anno di san Giuseppe con Luigi di Montfort: «Ti saluto, Giuseppe…»

Nelle Istruzioni spirituali alle Figlie della Sapienza (Instructions spirituelles adressées aux Filles de la Sagesse), edizione del 1761, è riportato un “3° metodo di Montfort per recitare con frutto il santo Rosario, ad uso delle Figlie della Sapienza”. 

In questo metodo ogni corona del rosario si chiude con la richiesta di recitare una preghiera. Per i misteri gioiosi, il Magnificat; per i misteri gloriosi, una orazione alla Santa Vergine. Al termine della seconda corona del Rosario, che fa meditare i misteri dolorosi, vengono indicate due preghiere da recitarsi in ginocchio, delle quali non abbiamo il manoscritto.

La prima è una preghiera “composta da Montfort per chiedere a Dio e ottenere la divina Sapienza”, dice il sottotitolo. Besnard, nella biografia (1759) di Maria Luisa Trichet, ci lascia due testimonianze al riguardo.

Racconta che sul finire del 1713, Montfort ritorna a Poitiers per una breve visita. Qui l’attende Maria Luisa di Gesù, sua prima discepola e Figlia della Sapienza. Lei confida le pene sofferte, Montfort la conferma nella sua vocazione, le manifesta la gioia di vederla ancora rivestita dell’abito che le aveva consegnato il 2 febbraio 1703. Mentre insieme discorrono, Maria Luisa inizia a recitare a memoria la preghiera per chiedere la Sapienza che, anni addietro, Montfort le aveva insegnato. Il missionario ha ascoltato, profondamente commosso: “E’ possibile, figlia mia, che tu ricordi ancora questa preghiera?”. E lei: “Certo, Padre, e l’ho recitata tutti i giorni”. Soggiunse Montfort: “Dio sia benedetto! Quale gioia mi dai! Io ne avevo dimenticato le parole”(cfr. Bs, ML, n. 55). 

Besnard, trattando poi della devozione di Maria Luisa di Gesù per la divina Sapienza, scrive: «Non ha mai smesso di recitare la preghiera che Montfort aveva composto, in suo onore, ed è lei che ha introdotto tra le Figlie della Sapienza, la pratica di recitarla ogni giorno, dopo la seconda corona del Rosario» (Bs, ML, n. 484).

A questa preghiera, segue l’invocazione a san Giuseppe, da recitarsi tre volte, stando in ginocchio. Ecco il testo:

«Ti saluto, Giuseppe, uomo giusto, / la Sapienza è con te.
Tu sei benedetto sopra tutti gli uomini /
e benedetto è Gesù, frutto di Maria / tua fedele sposa.
San Giuseppe, / degno padre putativo di Gesù,
prega per noi peccatori / e ottienici da Dio la divina Sapienza,
ora e nell’ora della nostra morte. Amen».

Si tratta di una “salutazione”, dal respiro sapienziale e sul ritmo dell’Ave Maria, ossia del saluto dell’angelo all’annunciazione. Stando agli studi di p. Roland Gauthier (cfr. Tarcisio Stramare, San Giuseppe – Dignità Privilegi Devozioni, ed. Shalom, 2008), le prime “salutazioni” appaiono già alla fine del XV secolo e poi soprattutto nel corso del secolo XVII. Vi è, ad esempio, quella di un frate minore, scritta tra il 1480 e il 1490, presente in un manoscritto olandese:

«Ave, Giuseppe, custode di Maria Madre di Dio e suo sposo, pieno di grazia, la santità è sempre con te, tu sei benedetto tra tutti i santi, e il frutto della Vergine, che tu hai allevato, è benedetto. Amen».

Una seconda fu stampata a Madrid, nel 1608, e fu approvata dall’arcivescovo di Toledo:

«Ti saluto, Giuseppe, pieno di grazia e di Spirito Santo, il Signore è con te, tu sei benedetto tra gli uomini, perché Gesù, il frutto benedetto del seno di Maria, era considerato anche come tuo figlio. Uomo vergine, padre di Cristo e sposo della Vergine, fa’ che colui che ha accettato di sottomettersi a te durante la sua vita, ci sia favorevole, grazie ai tuoi meriti, ora e nell’ora della nostra morte. Amen».

Un’altra si trova in un libro preparato da un frate minore e stampato a Parigi, nel 1624:

“Ave, Giuseppe, sposo venerabile della Madre di Dio, il Signore è con te, tu sei benedetto al di sopra di tutti gli uomini, e benedetto è Gesù Cristo, il frutto del senso della Vergine tua sposa. San Giuseppe, padre del Figlio di Dio e nostro Signore Gesù Cristo, prega per noi e per tutti i peccatori che si raccomandano alla tua intercessione, ora e nell’ora della nostra morte. Amen».

Altre formule si susseguirono, come quelle stampate a Parigi nel 1631, ad uso di una Confraternita di san Giuseppe e in Canada, verso il 1683, per i seminaristi. Molto conosciuta è la “salutazione” composta da san Giovanni Eudes (a volte attribuita a Olier) che inizia con la lode: «Ti saluto Giuseppe, immagine di Dio Padre».

Tornando all’invocazione attribuita al Padre di Montfort, si nota da subito la particolarità del riferimento alla sapienza che apre e chiude la preghiera. Luigi Maria nel contemplare Giuseppe privilegia questa prospettiva, la stessa che troviamo nella invocazione conclusiva del C 122,10:

«San Giuseppe, sii il mio patrono
per ottenermi un dono grandissimo:
la Divina Sapienza!».

La sapienza è con Giuseppe e a lui ci si può rivolgere per ottenerla da Dio anche per noi. Si può, quindi, invocare Giuseppe con un tocco tutto “monfortano”, che rispecchia il cuore dell’esperienza e della proposta spirituale di Luigi Maria. Egli pensa la vita spirituale come un viaggio verso la Sapienza, Gesù Cristo, che si offre «unicamente a coloro che la desiderano e la cercano con ardore pari al suo grande merito» (AES 30). Per questo, «bisogna essere come Salomone e Daniele, uomini di desiderio, per ottenere questo grande tesoro della Sapienza» (AES 183). E la preghiera è la spinta di un desiderio: il desiderio di amare e far amare la Sapienza.