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Luigi di Montfort, cantore di san Giuseppe

Luigi di Montfort non riserva molto spazio a san Giuseppe nei suoi Scritti. Troviamo alcuni richiami nella terza parte del Libro dei Sermoni, nella sezione intitolata Sintesi della vita, della morte e passione e della gloria di Gesù e di Maria nel santo rosario (cfr. Libro dei Sermoni III, 10-25; cfr. O 2019, pp. 445-453), in particolare nella contemplazione dei misteri della gioia del santo rosario. Per lo più san Giuseppe rimane sullo sfondo dei misteri contemplati e Luigi di Montfort concentra la sua attenzione solo su alcuni tratti della figura del santo: il dubbio pensoso di fronte alla gravidanza di Maria, l’umiliazione patita a Betlemme quando non c’è un posto per i giovani sposi e il Bambino e la sua obbedienza al volere di Dio.

Vi è, poi, l’invocazione a san Giuseppe, da recitarsi tre volte, stando in ginocchio, riportata nel “3° metodo di Montfort per recitare con frutto il santo Rosario, ad uso delle Figlie della Sapienza”.

Ci è giunto, però, l’intero Cantico 122, composto da Luigi di Montfort “in onore di san Giuseppe, sposo di Maria”. Dieci strofe in tutto, nelle quali san Giuseppe appare sempre in relazione. Tutta la sua vita è stata segnata dalla relazione con Dio Padre, con Gesù, il Verbo incarnato, con Maria.

Le prime due strofe presentano san Giuseppe nella sua relazione con Maria. È protettore e sposo, testimone della santità e custode della purezza della Vergine.

Cantiamo un inno in onore
di San Giuseppe, il protettore
e lo sposo di Maria.
L’umile Giuseppe è poco conosciuto.
Nessuno di quaggiù l’ha mai visto,
ma egli delizia i beati.
Che la terra si unisca al cielo,
che tutto lo glorifichi!

Grande santo, Dio ha trovato solo te
degno di essere lo sposo
della sua Madre ammirabile.
Sposo della Regina dei cieli,
questo privilegio è meraviglioso;
il testimone della sua santità,
il custode della sua purezza,
O gloria incomparabile!

La grandezza di Giuseppe non consiste solo nel fatto che egli fu lo sposo di Maria, ma anche che è stato scelto per essere “vicario” di Dio Padre presso il Figlio Gesù! La strofa successiva del Cantico contempla, quindi, san Giuseppe nella sua relazione con il Padre e il Verbo incarnato.

L’Eterno Padre ti ha scelto
per crescere in  terra suo Figlio,
per essere il suo Vicario.
Tu hai portato in braccio
colui che regge tutto nella sua mano,
per una missione tutta singolare
sei stato padre putativo
del tuo stesso Padre.

Si ritrova in questa strofa quanto san Giovanni Eudes dice di san Giuseppe: è stato “il fedele aiutante del piano di Dio”; le sue “braccia portavano Colui che porta il mondo”. Senza rivendicare una paternità genetica, san Giuseppe ha esercitato in modo pieno la sua paternità verso Gesù, prima di tutto e soprattutto amandolo come suo figlio. È stato per lui un padre con tutta la forza e la tenerezza che questo significa.

Luigi di Montfort, nelle strofe 4 e 5, dialogando con Giuseppe, si sofferma proprio sulla dimensione affettiva di questa relazione. È frutto della familiarità e dell’intimità di Giuseppe con Gesù e si esprime nella reciprocità di un amore affettuoso e tenero.

«Chi l’avrebbe visto accarezzarti,
sorriderti e abbracciarti
con amore smisurato!
I suoi sorrisi ti trafiggevano il cuore
e lo riempivano di dolcezza.
Tutto infiammato dal suo amore,
Gli dicevi, a tua volta:
“Mio caro figlio, ti amo”».

«Se tre parole di Maria hanno potuto
santificare per la loro forza
San Giovanni e sua madre,
cosa mai non avranno prodotto in te
i suoi discorsi tanto santi e dolci!
La sua parola ti rapiva
la sua presenza ti riempiva
di grazia e di luce».

Jean-Jacques Olier può aiutare a comprendere il senso delle parole di Luigi di Montfort: «Gesù in san Giuseppe amava con tenerezza l’Eterno suo Padre e sotto l’immagine vivente di san Giuseppe adorava il suo diletto Padre celeste che realmente abitava in lui».

La strofa 6 presenta i tratti del cuore di Giuseppe che hanno contrassegnato lo stile della sua vita.

«Quale è stata la tua umiltà!
Essa ti ha spinto
a tacere.
A metterti all’ultimo posto
a vivere come un povero falegname,
a sembrare un povero ignorante
senza capacità, senza talento,
senza iniziativa e senza prudenza».

Soprattutto l’atteggiamento dell’umiltà! L’umiltà non è disprezzarsi o negare di avere doni particolari, ma considerarsi come si è, nella verità. Riconoscere i doni, se ci sono, e al contempo che essi vengono interamente e gratuitamente da Dio, e per questo sono da investire per gli altri. Umiltà è riconoscere che Dio è all’opera nella persona e lasciarlo fare.

L’umiltà di Giuseppe si esprime nell’atteggiamento del silenzio: nel vangelo non c’è una sola parola di Giuseppe. Il suo linguaggio è il silenzio. Egli abbracciò nel silenzio il suo ruolo di sposo e genitore che custodisce e aiuta a crescere.

L’umiltà porta, poi, a cercare la piccolezza e il nascondimento. Qui vi è un’allusione alla parabola evangelica degli invitati al banchetto di nozze (cfr. Lc 14,8-9). San Giuseppe non ha mai voluto impadronire della scena. Non si è preoccupato di scegliersi il posto, ma ha lasciato che fosse Dio ad assegnargli il posto.

L’umiltà di Giuseppe ha attirato la benevolenza del Padre. Per la sua umiltà, Dio si è chinato su di lui per elevarlo a sé; lo ha innalzato, facendolo intercessore potente. Così scrive Luigi di Montfort nelle strofe 7 e 8:

«Più tu ti sei abbassato,
e più Dio ti ha innalzato
accanto a sé nella gloria.
I tuoi meriti sono sorprendenti,
i tuoi privilegi sono grandi.
Il cielo ammira il tuo splendore,
il mondo è pieno dei tuoi favori,
e anche il Purgatorio».

«Mai nessuno ti prega invano,
la tua facoltà di ottenere è assoluta,
assicura Teresa [d’Avila].
Tuo Figlio è Dio glorioso,
tua Sposa è la Regina dei cieli,
Pregando, tu comandi loro,
se chiedi, tutto viene eseguito.
O potere senza misura!».

Vi è un esplicito rimando all’esperienza di santa Teresa d’Avila: “Invoco san Giuseppe come patrono e protettore e non cesso di raccomandarmi a lui: il suo soccorso si manifesta in modo visibilissimo. (…) Non ricordo di avergli chiesto qualcosa e che non me l’abbia accordato. (…) Con questo, il Signore vuole mostrarci che, come un giorno fu sottomesso all’autorità di Giuseppe, suo padre putativo, così ancora in cielo, si degna di accettare la sua volontà, esaudendo i suoi desideri”.

Nella strofa 9 san Giuseppe si rivolge direttamente al cristiano, con una raccomandazione e un invito a imitare gli atteggiamenti del suo cuore e trovare così la felicità, la pienezza della vita.

«Cerca di essere l’ultimo in ogni cosa,
di nasconderti, e crescere
in Gesù e Maria!
Cerca ciò che il mondo rifugge
e rifuggi tutto ciò che esso insegue.
Regolati solo sulla fede,
per essere felice con me
imitando la mia vita».

In particolare, Luigi di Montfort sottolinea tre atteggiamenti evangelici di san Giuseppe, da assimilare. Il primo è cercare di essere l’ultimo in ogni cosa e cercare il nascondimento. Giuseppe è l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta. Questa scelta non è fine a sé stessa! “Ritirandosi”, Giuseppe ha creato lo spazio perché Gesù e Maria potessero crescere in lui e lui in loro. Lo scopo è crescere in Gesù e Maria!

Il secondo atteggiamento è la scelta di non conformarsi alla logica del mondo. San Giuseppe si rivela uomo sapiente. Non ha inseguito ciò che il mondo insegue, ossia il bisogno di affermarsi, di essere lodato e primeggiare. Al contrario, ha cercato e abbracciato ciò che il mondo ignora e fugge volutamente: il servizio, il dono di sé, il diminuire, perdere sé stesso. Per questo ancora oggi san Giuseppe insegna a non guardare tanto le cose che il mondo loda, ma a guardare agli angoli, alle ombre, alle periferie, quello che il mondo non vuole. Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano (cfr. Papa Francesco, Udienza, 17 novembre 2021).

Infine, la scelta di regolarsi in tutto solo sulla fede! Fare della fede il criterio e il fondamento della vita. Fidarsi sempre di Dio, scegliere lasciandosi guidare dalla sua Provvidenza, non contare tanto sui propri progetti, ma sul progetto d’amore di Dio.

L’ultima strofa, è la preghiera che il devoto rivolge a san Giuseppe.

«San Giuseppe, sii il mio patrono
per ottenermi un dono grandissimo:
la Divina Sapienza!
Per dare gloria al mio Salvatore,
Per convertire l’uomo peccatore
Per soccorrere i poveretti
Per sconfiggere i miei nemici.
La carità ti spinge.
Dio Solo».

Da notare la prospettiva propriamente “monfortana” del contenuto della preghiera. Si chiede a san Giuseppe il dono della divina sapienza. Luigi di Montfort sottolinea, quindi, il legame che c’è tra san Giuseppe e il dono della sapienza. Spiega Jean-Jacques Olier: «Dio ha rappresentato sé medesimo nella persona di Giuseppe, concedendogli una abbondante partecipazione del suo spirito di Padre; poiché egli doveva dirigere la Sapienza eterna, gli aveva dato una sapienza ed una luce ammirabili».

Luigi di Montfort chiede a san Giuseppe la luce ammirabile della divina sapienza, quella penetrazione amorosa e saporosa dei misteri di Dio. Lo scopo è profondamente apostolico: dare gloria al Signore, toccare i cuori dei peccatori, soccorrere i miseri, la cui miseria più grande è la lontananza da Dio, vincere i nemici, primo tra tutti il proprio io, poi la logica del mondo e la sua sapienza e la carne, il confidare su sé stessi, facendo a meno di Dio.

La carità che san Giuseppe nutre verso di noi, il suo amore di padre e custode fedele alla missione che Dio gli ha affidato, è una urgenza nel suo cuore che lo spinge ad ottenerci il dono della divina sapienza.