San Luigi Maria di Montfort
Video sulla vita di san Luigi Maria Grignion di Montfort. 1° episodio: Storia
Oggi 28 aprile è il giorno in cui ogni anno celebriamo la Festa di san Luigi Maria Grignion di Montfort, missionario apostolico e fondatore della famiglia monfortana.
Per ricordarci e ringraziare Dio per il dono della sua vita e della sua vocazione di santità, e per tutti che vogliono conoscere meglio alcuni dettagli della sua vita, publichiamo il primo dei quattro brevi video sulla sua vita, spiritualità e attività missionaria.
Sono quattro filmati che vogliono avvicinarci la figura e lo spirito di questo grande santo, misssionario e apostolo di Cristo e di Maria.
I video sono realizzati qualche anno fa in lingua francese dai confratelli in Francia, e ora possiamo vederli tradotti anche in italiano e in altre lingue.
Per trovare i sottotitoli in varie lingue bisogna selezionare la lingua desiderata nelle impostazioni in basso a sinistra del video.
Possa anche per noi oggi la figura di questo santo essere un esempio e via luminosa per vivere la nostra vita cristiana e la vocazione particolare che ognuno ha ricevuto, con grande passione, generosità, dedizione al Vangelo e amore verso Dio, Maria e l’uomo.
San Luigi di Montfort, prega per noi!
Luigi di Montfort, cantore di san Giuseppe
Luigi di Montfort non riserva molto spazio a san Giuseppe nei suoi Scritti. Troviamo alcuni richiami nella terza parte del Libro dei Sermoni, nella sezione intitolata Sintesi della vita, della morte e passione e della gloria di Gesù e di Maria nel santo rosario (cfr. Libro dei Sermoni III, 10-25; cfr. O 2019, pp. 445-453), in particolare nella contemplazione dei misteri della gioia del santo rosario. Per lo più san Giuseppe rimane sullo sfondo dei misteri contemplati e Luigi di Montfort concentra la sua attenzione solo su alcuni tratti della figura del santo: il dubbio pensoso di fronte alla gravidanza di Maria, l’umiliazione patita a Betlemme quando non c’è un posto per i giovani sposi e il Bambino e la sua obbedienza al volere di Dio.
Vi è, poi, l’invocazione a san Giuseppe, da recitarsi tre volte, stando in ginocchio, riportata nel “3° metodo di Montfort per recitare con frutto il santo Rosario, ad uso delle Figlie della Sapienza”.
Ci è giunto, però, l’intero Cantico 122, composto da Luigi di Montfort “in onore di san Giuseppe, sposo di Maria”. Dieci strofe in tutto, nelle quali san Giuseppe appare sempre in relazione. Tutta la sua vita è stata segnata dalla relazione con Dio Padre, con Gesù, il Verbo incarnato, con Maria.
Le prime due strofe presentano san Giuseppe nella sua relazione con Maria. È protettore e sposo, testimone della santità e custode della purezza della Vergine.
Cantiamo un inno in onore
di San Giuseppe, il protettore
e lo sposo di Maria.
L’umile Giuseppe è poco conosciuto.
Nessuno di quaggiù l’ha mai visto,
ma egli delizia i beati.
Che la terra si unisca al cielo,
che tutto lo glorifichi!
Grande santo, Dio ha trovato solo te
degno di essere lo sposo
della sua Madre ammirabile.
Sposo della Regina dei cieli,
questo privilegio è meraviglioso;
il testimone della sua santità,
il custode della sua purezza,
O gloria incomparabile!
La grandezza di Giuseppe non consiste solo nel fatto che egli fu lo sposo di Maria, ma anche che è stato scelto per essere “vicario” di Dio Padre presso il Figlio Gesù! La strofa successiva del Cantico contempla, quindi, san Giuseppe nella sua relazione con il Padre e il Verbo incarnato.
L’Eterno Padre ti ha scelto
per crescere in terra suo Figlio,
per essere il suo Vicario.
Tu hai portato in braccio
colui che regge tutto nella sua mano,
per una missione tutta singolare
sei stato padre putativo
del tuo stesso Padre.
Si ritrova in questa strofa quanto san Giovanni Eudes dice di san Giuseppe: è stato “il fedele aiutante del piano di Dio”; le sue “braccia portavano Colui che porta il mondo”. Senza rivendicare una paternità genetica, san Giuseppe ha esercitato in modo pieno la sua paternità verso Gesù, prima di tutto e soprattutto amandolo come suo figlio. È stato per lui un padre con tutta la forza e la tenerezza che questo significa.
Luigi di Montfort, nelle strofe 4 e 5, dialogando con Giuseppe, si sofferma proprio sulla dimensione affettiva di questa relazione. È frutto della familiarità e dell’intimità di Giuseppe con Gesù e si esprime nella reciprocità di un amore affettuoso e tenero.
«Chi l’avrebbe visto accarezzarti,
sorriderti e abbracciarti
con amore smisurato!
I suoi sorrisi ti trafiggevano il cuore
e lo riempivano di dolcezza.
Tutto infiammato dal suo amore,
Gli dicevi, a tua volta:
“Mio caro figlio, ti amo”».
«Se tre parole di Maria hanno potuto
santificare per la loro forza
San Giovanni e sua madre,
cosa mai non avranno prodotto in te
i suoi discorsi tanto santi e dolci!
La sua parola ti rapiva
la sua presenza ti riempiva
di grazia e di luce».
Jean-Jacques Olier può aiutare a comprendere il senso delle parole di Luigi di Montfort: «Gesù in san Giuseppe amava con tenerezza l’Eterno suo Padre e sotto l’immagine vivente di san Giuseppe adorava il suo diletto Padre celeste che realmente abitava in lui».
La strofa 6 presenta i tratti del cuore di Giuseppe che hanno contrassegnato lo stile della sua vita.
«Quale è stata la tua umiltà!
Essa ti ha spinto
a tacere.
A metterti all’ultimo posto
a vivere come un povero falegname,
a sembrare un povero ignorante
senza capacità, senza talento,
senza iniziativa e senza prudenza».
Soprattutto l’atteggiamento dell’umiltà! L’umiltà non è disprezzarsi o negare di avere doni particolari, ma considerarsi come si è, nella verità. Riconoscere i doni, se ci sono, e al contempo che essi vengono interamente e gratuitamente da Dio, e per questo sono da investire per gli altri. Umiltà è riconoscere che Dio è all’opera nella persona e lasciarlo fare.
L’umiltà di Giuseppe si esprime nell’atteggiamento del silenzio: nel vangelo non c’è una sola parola di Giuseppe. Il suo linguaggio è il silenzio. Egli abbracciò nel silenzio il suo ruolo di sposo e genitore che custodisce e aiuta a crescere.
L’umiltà porta, poi, a cercare la piccolezza e il nascondimento. Qui vi è un’allusione alla parabola evangelica degli invitati al banchetto di nozze (cfr. Lc 14,8-9). San Giuseppe non ha mai voluto impadronire della scena. Non si è preoccupato di scegliersi il posto, ma ha lasciato che fosse Dio ad assegnargli il posto.
L’umiltà di Giuseppe ha attirato la benevolenza del Padre. Per la sua umiltà, Dio si è chinato su di lui per elevarlo a sé; lo ha innalzato, facendolo intercessore potente. Così scrive Luigi di Montfort nelle strofe 7 e 8:
«Più tu ti sei abbassato,
e più Dio ti ha innalzato
accanto a sé nella gloria.
I tuoi meriti sono sorprendenti,
i tuoi privilegi sono grandi.
Il cielo ammira il tuo splendore,
il mondo è pieno dei tuoi favori,
e anche il Purgatorio».
«Mai nessuno ti prega invano,
la tua facoltà di ottenere è assoluta,
assicura Teresa [d’Avila].
Tuo Figlio è Dio glorioso,
tua Sposa è la Regina dei cieli,
Pregando, tu comandi loro,
se chiedi, tutto viene eseguito.
O potere senza misura!».
Vi è un esplicito rimando all’esperienza di santa Teresa d’Avila: “Invoco san Giuseppe come patrono e protettore e non cesso di raccomandarmi a lui: il suo soccorso si manifesta in modo visibilissimo. (…) Non ricordo di avergli chiesto qualcosa e che non me l’abbia accordato. (…) Con questo, il Signore vuole mostrarci che, come un giorno fu sottomesso all’autorità di Giuseppe, suo padre putativo, così ancora in cielo, si degna di accettare la sua volontà, esaudendo i suoi desideri”.
Nella strofa 9 san Giuseppe si rivolge direttamente al cristiano, con una raccomandazione e un invito a imitare gli atteggiamenti del suo cuore e trovare così la felicità, la pienezza della vita.
«Cerca di essere l’ultimo in ogni cosa,
di nasconderti, e crescere
in Gesù e Maria!
Cerca ciò che il mondo rifugge
e rifuggi tutto ciò che esso insegue.
Regolati solo sulla fede,
per essere felice con me
imitando la mia vita».
In particolare, Luigi di Montfort sottolinea tre atteggiamenti evangelici di san Giuseppe, da assimilare. Il primo è cercare di essere l’ultimo in ogni cosa e cercare il nascondimento. Giuseppe è l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta. Questa scelta non è fine a sé stessa! “Ritirandosi”, Giuseppe ha creato lo spazio perché Gesù e Maria potessero crescere in lui e lui in loro. Lo scopo è crescere in Gesù e Maria!
Il secondo atteggiamento è la scelta di non conformarsi alla logica del mondo. San Giuseppe si rivela uomo sapiente. Non ha inseguito ciò che il mondo insegue, ossia il bisogno di affermarsi, di essere lodato e primeggiare. Al contrario, ha cercato e abbracciato ciò che il mondo ignora e fugge volutamente: il servizio, il dono di sé, il diminuire, perdere sé stesso. Per questo ancora oggi san Giuseppe insegna a non guardare tanto le cose che il mondo loda, ma a guardare agli angoli, alle ombre, alle periferie, quello che il mondo non vuole. Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano (cfr. Papa Francesco, Udienza, 17 novembre 2021).
Infine, la scelta di regolarsi in tutto solo sulla fede! Fare della fede il criterio e il fondamento della vita. Fidarsi sempre di Dio, scegliere lasciandosi guidare dalla sua Provvidenza, non contare tanto sui propri progetti, ma sul progetto d’amore di Dio.
L’ultima strofa, è la preghiera che il devoto rivolge a san Giuseppe.
«San Giuseppe, sii il mio patrono
per ottenermi un dono grandissimo:
la Divina Sapienza!
Per dare gloria al mio Salvatore,
Per convertire l’uomo peccatore
Per soccorrere i poveretti
Per sconfiggere i miei nemici.
La carità ti spinge.
Dio Solo».
Da notare la prospettiva propriamente “monfortana” del contenuto della preghiera. Si chiede a san Giuseppe il dono della divina sapienza. Luigi di Montfort sottolinea, quindi, il legame che c’è tra san Giuseppe e il dono della sapienza. Spiega Jean-Jacques Olier: «Dio ha rappresentato sé medesimo nella persona di Giuseppe, concedendogli una abbondante partecipazione del suo spirito di Padre; poiché egli doveva dirigere la Sapienza eterna, gli aveva dato una sapienza ed una luce ammirabili».
Luigi di Montfort chiede a san Giuseppe la luce ammirabile della divina sapienza, quella penetrazione amorosa e saporosa dei misteri di Dio. Lo scopo è profondamente apostolico: dare gloria al Signore, toccare i cuori dei peccatori, soccorrere i miseri, la cui miseria più grande è la lontananza da Dio, vincere i nemici, primo tra tutti il proprio io, poi la logica del mondo e la sua sapienza e la carne, il confidare su sé stessi, facendo a meno di Dio.
La carità che san Giuseppe nutre verso di noi, il suo amore di padre e custode fedele alla missione che Dio gli ha affidato, è una urgenza nel suo cuore che lo spinge ad ottenerci il dono della divina sapienza.
Luigi di Montfort sotto l’ombra di san Giuseppe
Si avvia a conclusione l’Anno di San Giuseppe, voluto da Papa Francesco per ricordare il 150° anniversario della proclamazione dello Sposo di Maria a patrono della Chiesa universale.
San Luigi Maria di Montfort non è tra coloro che con gli scritti e la predicazione ha proposto in modo diretto la devozione a Giuseppe. La sua spiritualità è, invece, centrata sul mistero dell’Incarnazione, reso possibile dal “sì” di Maria di Nazaret, ed egli ha proposto la via mariana per giungere a Gesù Cristo.
Possiamo, tuttavia, immaginare che la figura di san Giuseppe abbia aiutato Luigi di Montfort a comprendere bene il senso dell’Incarnazione e a illuminare la sua relazione con la Vergine Maria. Nei suoi anni di formazione avrà, forse, avuto modo di respirare la devozione a san Giuseppe, promossa dai diversi autori spirituali del suo tempo.
Montfort, studente presso i Gesuiti a Rennes (1684-1692)
Nel 1684, a 11 anni, Luigi di Montfort si trasferisce a Rennes, capoluogo della Bretagna. Iscritto alla scuola del Collegio Thomas Becket, una delle più importanti istituzioni formative della città affidata ai Gesuiti, vi compie gli studi di grammatica, retorica, filosofia e scienze.
I Gesuiti furono tra coloro che con i loro scritti promossero la devozione a san Giuseppe in Francia nella prima metà del sec. XVII. Etienne Binet scrisse nel 1634 il libro Tableau des divines faveurs faites à saint Joseph, composto con estratti di altri autori; poi, Paul de Barry pubblicò per la prima volta nel 1639 il trattato La dévotion à saint Joseph; infine, nel 1644, Jean Jacquinot diede il suo contributo con il libro intitolato La gloire de saint Joseph.
Anche François Poiré, che sarà uno degli autori di riferimento per Luigi di Montfort soprattutto per la devozione a Maria, nella sua opera La Triple couronne de la bienheureuse Vierge, ha scritto sulla devozione a san Giuseppe. Deriva dalla riconoscenza che bisogna avere per le grandezze della Vergine Maria che si esprime nell’amare, per amore di lei, quanti le appartengono per titolo di parentela o per elezione, tra cui san Giuseppe. Presentando le virtù di san Giuseppe, riporta ciò la Vergine Maria rivelò a santa Brigida:
«Egli era totalmente morto al mondo, e alla vanità, come uno che ama solo il cielo. Era con tutto il cuore ancorato a Dio e alle sue promesse, come uno che desidera solo di vederle realizzate. Era santamente ritirato, e sempre raccolto in sé stesso, come uno che non aveva nulla a che fare con gli uomini e i cui pensieri miravano a far contento Dio, l’unico amore e il bene supremo del suo cuore».
In particolare, Louis Lallemant, Jean Rigoleuc, Saint-Jure, Surin, esponenti della cosiddetta scuola mistica della Compagnia di Gesù, faranno di san Giuseppe il patrono del raccoglimento interiore. Il Surin nelle sue Lettere sostiene con forza che per progredire nella vita spirituale occorre la fiducia nell’aiuto di san Giuseppe. Invita a coltivare tre sue virtù: la contemplazione dei misteri, il raccoglimento e la rinuncia a sé stessi per cercare Dio solo. Insiste sul raccoglimento di Giuseppe, conseguenza della sua contemplazione del mistero dell’Incarnazione. L’intimità con Gesù merita a Giuseppe di essere il padre della vita interiore e il vero protettore delle anime che hanno il coraggio di staccarsi da tutto per assorbirsi nel gusto dei misteri divini.
Uno dei tratti che emerge nell’adolescente Luigi di Montfort negli anni di Rennes trascorsi nell’ambiente gesuitico del Collegio Thomas Becket, è proprio il centramento progressivo sulla realtà della vita spirituale e un distanziamento sempre maggiore da tutto ciò che è mondano. È uno studente raccolto, che coltiva la vita interiore, con il gusto delle cose di Dio. Tuttavia la grande attrazione per la preghiera e la vita ritirata non è auto-referenziale, bensì rivolta all’esterno e incarnata in gesti di carità verso gli altri e nell’apostolato. Si fa servizio, cura, custodia dei ricoverati nell’ospedale della città di Rennes.
Montfort, seminarista a Parigi (1692-1700)
Tra novembre e dicembre del 1692, Luigi di Montfort parte per Parigi, con il desiderio di prepararsi al sacerdozio nel seminario di San Sulpizio, “una terra di santi, dove si formano altri santi”.
Il seminario di San Sulpizio fu fondato nel 1641-1642 da Jean-Jacques Olier, uno dei maggiori rappresentanti della “Scuola francese di spiritualità”, discepolo di Vincenzo de’ Paoli e del de Condren, il successore del cardinal de Bérulle alla guida dell’Oratorio di Francia.
L’Olier fondò il seminario nella parrocchia omonima, di cui era parroco, allo scopo di curare la formazione spirituale, teologica e apostolica dei candidati al sacerdozio, attuando così le direttive del Concilio di Trento (1545-1563). Sentendosi chiamato a “portare la contemplazione nel sacerdozio”, costituì la Compagnia dei preti del seminario di San-Sulpizio, che affidò alla Vergine Maria e, appunto, a San Giuseppe. Con le sue quattro comunità seminaristiche, San Sulpizio sarà la matrice e il vivaio del clero di Francia.
Luigi di Montfort, arrivato a Parigi, dapprima entra in una delle comunità per studenti poveri che erano fiorite attorno ai seminari sulpiziani, quella del de La Barmondière, ex curato della chiesa di San Sulpizio (fine 1692-1694). Il regolamento della casa si apriva con queste parole:
«Regolamento generale dei poveri ecclesiastici studenti i quali vivono in comune uniti al seminario di S. Sulpizio in Parigi, in onore della vita povera, disprezzata e laboriosa che Gesù ha condotta durante i trent’anni della sua vita nascosta, per disporsi alle funzioni del suo divino Sacerdozio sotto la protezione della Santissima Vergine, di San Giuseppe, dei Santi Apostoli e degli uomini apostolici» (Cfr. Benedetta Papasogli, 1991, p. 59; nota 7).
Il regolamento veniva letto una volta al mese durante il pranzo e Luigi di Montfort è tra i giovani seminaristi che vivono in comunità imitando la vita nascosta di Gesù nei trent’anni di Nazaret e si preparano al sacerdozio mettendosi sotto la protezione di Maria e Giuseppe e degli Apostoli!
Montfort entrerà, poi, al Piccolo Seminario dove proseguirà la sua formazione fino all’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 5 giugno 1700. Ebbene, nell’opuscolo Pietas Seminarii S. Sulpitii, una sorta di direttorio spirituale destinato agli aspiranti della Compagnia di San Sulpizio, Olier detta le regole per la perfezione spirituale e apostolica del futuro prete. Tra le altre cose, al paragrafo X si legge:
«Perciò unendosi intimamente a Cristo fanciullo, gli alunni di questa Compagnia venereranno con devozione speciale la Santissima sua Madre Maria e il beatissimo Giuseppe alla cui protezione e patrocinio si affideranno pienamente e con fiducia, e come fanciulli in Cristo, trascorrendo la vita sicurissimi all’ombra delle ali del padre e della madre, saranno loro sottomessi con un impegno perpetuo di schiavitù».
Niente vieta di pensare che Luigi di Montfort si sia davvero affidato con fiducia alla protezione di Maria e di san Giuseppe, unendosi alla sottomissione che Gesù, la Sapienza eterna ed incarnata, visse nei loro confronti. E come Gesù, all’ombra delle loro ali, anch’egli sarà cresciuto in sapienza, età e grazia.
Luigi di Montfort: colui che ama tanto i poveri
«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7): è il tema scelto da papa Francesco per la V Giornata Mondiale dei Poveri. Nel suo Messaggio scrive: «Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita». Questo è vero in un certo senso anche per san Luigi Maria di Montfort. È impossibile separare la sua esperienza di fede e la sua missione dalla memoria storica dei poveri, verso i quali si è fatto prossimo e carità.
Pur non escludendo nessuno dal suo apostolato, il Santo di Montfort compie una scelta preferenziale per i poveri. Una scelta che viene dal cuore, da una inclinazione, da una attrattiva che non ha altra legge che quella dell’amore. In particolare, viene prima di tutto da una profonda relazione con Dio e da uno sguardo di fede su Gesù, Sapienza incarnata.
È molto bella la testimonianza che ci è giunta nella lettera che il gesuita Préfontaine indirizzò al biografo Grandet nel 1718, due anni dopo la morte di Luigi Maria di Montfort:
«I poveri soprattutto e la gente di campagna erano coloro con i quali lavorava più volentieri. Diceva di essere stato mandato a loro e che doveva farsi carico della loro salvezza. Nello stesso tempo aveva una meravigliosa capacità di conquistarli e di ispirare loro tutti i sentimenti che voleva. Queste buone persone si affezionavano a lui. Lo guardavano come un santo e quando lui lasciava una parrocchia per recarsi in un’altra, lo seguivano in folla, con le lacrime agli occhi, e credevano, perdendolo, di aver perso tutto. Con gli occhi della fede, vedendo Gesù Cristo nella persona dei poveri è incredibile fin dove arrivava la sua carità nei loro confronti… Li nutriva e li vestiva. La sua tenerezza per loro e la sua compassione si trasmetteva a tutti coloro che lo avvicinavano e ispiravano loro sentimenti conformi ai suoi. Il suo esempio trascinava tutti e ognuno provava piacere e si sentiva in dovere di contribuire alle sue opere di misericordia: gli uni con la loro generosità, gli altri con il lavoro delle loro mani. Poiché, il signor de Montfort aveva una particolare capacità di valorizzare, in queste occasioni, tutti i mezzi per fare del bene ai poveri, che una ingegnosa e cristiana carità sa mettere in atto. Se esortava tutti ad amare i poveri, lui era il primo a darne l’esempio. Più di una volta l’ho visto andare in mezzo a una moltitudine di straccioni e scegliere il più disperato, il più scostante, e prenderlo per mano per condurlo con sé, farlo sedere a tavola al primo posto al suo fianco, servirlo prima di tutti gli altri e, soprattutto, alla fine del pasto abbracciarlo, accompagnarlo alla porta e congedarlo con una generosa elemosina» (Grandet 446-448).
Luigi di Montfort non si è vergognato di toccare la carne di Cristo nella carne del povero. Alla domanda: «Chi è il povero?», risponde nel C 17,14, intitolato Il credito dell’elemosina:
«Sta scritto / ch’egli è l’immagine vivente, / il luogotenente di Gesù Cristo, / la sua più bella eredità. / Ma per dire ancora meglio / egli è Gesù Cristo stesso».
E nel C 20,17:
«sono i veri ritratti / di Gesù Cristo povero per noi. / Sono i suoi fratelli somigliantissimi, / degni di essere onorati da tutti». «Un povero è un grande mistero, […] bisogna saperlo comprendere».
I poveri agli occhi di Luigi Maria sono gli amici intimi di Gesù Cristo, la sua eletta porzione, i suoi luogotenenti, i suoi primogeniti, cioè quelli cui spetta l’eredità; molto di più, sono Gesù Cristo stesso.
Montfort di fronte a chi era nel bisogno non se ne è stato tranquillo come un funzionario del sacro o un prete imborghesito. Al contrario, come il Buon Samaritano, si è lasciato muovere a pietà, si è accostato all’uomo ferito e in modo concreto se ne è fatto carico. È stato il prete della compassione di Dio verso tutti coloro che la società del suo tempo rendeva e chiamava scarti umani.
Papa Francesco chiude il suo Messaggio ricordandoci che «i poveri si abbracciano, non si contano». Luigi di Montfort i poveri davvero non li ha contati, ma solo abbracciati!
Il Rosario: la «via» di Maria
La “corona”, “via” di Maria per passare dai “misteri” al “Mistero”! È il segreto di santità, è la chiave per la felicità che diventa anche nostra quando ci sentiamo spinti a cercare tra le braccia e nel cuore della Vergine Maria, il Mistero del Verbo fatto carne!
La Vergine di Nazareth ci invita ad appendere la nostra vita alla corona del rosario. Questa dolce catena, nel mondo odierno che sappiamo così dispersivo, può essere “via” che conduce dalla Madre al Figlio, mettendo Cristo al centro, come faceva lei, che meditava interiormente tutto ciò che si diceva di Gesù, e poi ogni suo gesto e parola.
A volte si pensa che il rosario è una pratica devozionale, infantile, non particolarmente degna di chi si ritiene ‘adulto nella fede’, ormai superata, lontana dalle nuove sensibilità ed esigenze, che si riduce ad una ripetizione frettolosa e superficiale di formule, frutto delle labbra, da cui il cuore è lontano.
In realtà il rosario è una preghiera semplice e per tutti perché fatta di parole brevi, calde che possono accompagnare ovunque: in casa, in strada, in macchina, sul posto di lavoro…
È una preghiera viva perché ogni mistero di Gesù interroga e batte con il ritmo dell’esistenza, nostra e delle nostre famiglie, della Chiesa e dell’intera umanità!
È una preghiera alta perché fa vivere alla presenza di Dio, con Maria, mentre viviamo tra le persone di questo mondo.
È una preghiera che non stanca mai perché respira dell’attrazione amorosa: si ripete per innamorarsi di Gesù, concentrando man mano l’animo su di lui…si ripete perché innamorati!
Anche san Luigi Maria di Montfort ha trovato nel rosario un’autentica via di santificazione e l’ha proposta ai piccoli e ai semplici. Il rosario, spiega Montfort, di mistero in mistero è come un pennello che disegna in noi i tratti del volto del Signore. Così l’Ave Maria recitata bene – e questo sì è difficile – incarna in noi il Verbo e porta il frutto di vita, Gesù Cristo, scrive Montfort nel Trattato della Vera devozione!
Accogliendo la consegna del rosario che la la Beata Vergine Maria ci lascia ancora oggi, scopriremo che le nostre dita, scivolando leggere e con fede sui grani della corona, accarezzano il prodigio di Gesù che abita al centro della nostra vita. E sapremo custodire il nostro rapporto con il Signore, condividendo con Lui gioie e dolori, affidando alle sue mani bisogni e progetti, attingendo dal suo cuore la speranza e la forza per il cammino. E troveremo pace!
Vita di san Luigi Maria Grignion di Montfort (IV parte: una vita consumata per il Vangelo)
Gli ultimi cinque anni della vita di Montfort sono molto intensi pastoralmente, in cui instancabilmente si dedica a predicare le missioni, sempre con grandissima energia ed entusiasmo, e spostandosi a piedi da un luogo all’altro.
Le sue missioni hanno una grande influenza, soprattutto in Vandea. Si è detto che una delle ragioni che hanno mantenuto gli abitanti di questa regione fortemente opposti alle tendenze antireligiose e anticattoliche della Rivoluzione francese 80 anni più tardi, è stata la loro fede illuminata dalla predicazione di san Luigi Maria.
Nelle sue missioni popolari evangelizzava e catechizzava tutta la parrocchia, facendo durante il giorno il catechismo agli adulti, ai bambini e separatamente anche ai soldati. Per coinvolgere sempre più il popolo durante le missioni e imprimere meglio il suo insegnamento, compose numerosi “Cantici” (165 che conosciamo), e che erano come piccole catechesi sui vari temi della fede, e che faceva cantare sulle melodie dell’epoca conosciute praticamente da tutti.
Nonostante il ritmo intenso delle missioni, nel 1712 trova il tempo per scrivere il “Trattato della vera devozione a Maria”, la sua più grande e famosa opera; e anche il “Segreto di Maria”. Le due opere con i quali ha voluto trasmettere per iscritto il suo insegnamento ed esperienza personale della vera devozione a Maria come “il più meraviglioso dei segreti” e come la “via più breve, più facile e più santa” per arrivare alla conoscenza e l’unione con Cristo Sapienza, e per vivere fedelmente la nostra vocazione battesimale.
Nel Trattato esporrà la sua proposta del cammino spirituale conosciuto come la “Consacrazione a Gesù Cristo per mezzo di Maria”, che predicherà nelle sue missioni, e che si riassume nel famoso motto “Totus tuus”.
Montfort intanto percorreva tanti paesi e parrocchie in cui faceva le missioni al popolo. Alla missione di Dinan rimane legato il ricordo di una storia suggestiva. Alla sera, dopo una giornata intensa, Luigi è ancora per le vie: ritorna a casa da un incontro di carità. Ed ecco, intravede nell’ombra una forma umana coricata per terra, intuisce un lamento. Un fremito scuote il padre di Montfort. Si curva sul poveretto, scoprendo un viso mangiato da una lebbra ributtante. Il cronista racconta: “Non attese che quel disgraziato gli chiedesse soccorso, gli parlò per primo”. Che fare, data l’ora tarda? Luigi solleva l’uomo e si dirige verso la casa dei missionari. Il portiere dorme profondamente e i ripetuti colpi alla porta stentano a risvegliarlo. Allora si leva nel buio la supplica fremente, il grido nel quale è tutto il cuore di Luigi Grignion: “Aprite… Aprite a Gesù Cristo!”
Qualcuno dei vicini si sarà, forse, destato di soprassalto udendo quella voce che squarcia la quiete e le tenebre. Finalmente, un cigolare di chiavistelli, un respiro di sollievo da parte di Luigi… stanotte, l’uomo sfigurato dalla tristissima malattia dormirà nel letto del padre di Montfort.
San Luigi fece anche due lunghi viaggi, uno a Parigi e l’altro a Rouen, per cercare dei candidati per la sua “Compagnia di Maria”, che sognava sempre più spesso, e che dovrebbe continuare la sua opera missionaria ed evangelizzatrice. Desiderava una piccola Compagnia dei missionari che andrebbero dappertutto a portare l’annuncio del Vangelo. Scrive anche le “Regole della Compagnia di Maria” per i suoi missionari. Tra le missioni ogni tanto si ritirava in luoghi tranquilli e isolati, nella foresta o in un piccolo “eremo” vicino a La Rochelle.
Le sue missioni avevano sempre una grande influenza sul popolo, ma Padre Luigi trovò sempre difficoltà a persuadere altri preti ad impegnarsi con lui come membri della Compagnia di Maria. Finalmente, nel 1715, due sacerdoti, Rene Mullot e Adrien Vatel, si unirono a lui, e più tardi anche alcuni Fratelli entrarono a far parte del gruppo.
Con l’aiuto del vescovo, che gli rimase sempre amico, fondò una scuola per i bambini poveri di La Rochelle e chiamò Maria Luisa e Caterina, che da dieci anni aspettavano pazientemente a Poitiers, perché se ne occupassero. È l’anno 1715 quando si dedica alla fondazione del nuovo istituto e con Maria Luisa scrive la Regola, approvata dal vescovo. Finalmente le due fanno la professione religiosa e così nasce la congregazione delle “Figlie della Sapienza”.
Ben presto molte altre sorelle si unirono a loro. Montfort susciterà anche la nascita di una terza famiglia religiosa monfortana: i Fratelli di san Gabrielle, che si occuperanno per l’educazione cristiana dei ragazzi e dei giovani. Questo carisma sarà ispirato dai fratelli che facevano insieme con padre di Montfort le missioni dedicandosi particolarmente al catechismo dei bambini e ragazzi.
Nel 1716 durante la missione di Villiers-en-Plaine organizza un pellegrinaggio del gruppo Penitenti bianchi, da lui creato a Saint-Pompain, al santuario di Saumur, per ottenere da Dio dei missionari.
Fino a quel l’anno san Luigi ha predicato circa 200 missioni. Nella sua vita missionaria ha percorso a piedi più di 25 000 km.
L’intensa vita di san Luigi lo porterà a consumarsi in breve tempo.
Nell’aprile del 1716, sfinito dalle fatiche missionarie, Luigi Maria arriva a Saint-Laurent-sur-Sevre per iniziare la predicazione di una missione. Si ammalò gravemente e cade a letto. Il 27 detta il testamento e muore il martedì 28 aprile a soli 43 anni. Prima di morire teneva in una mano la croce regalata dal papa Clemente XI e in altra la statuina della Madonna che portava sempre con sè. Raccolse ancora poche energie e intona il cantico che lui stesso compose: Su andiamo, cari amici, su andiamo in Paradiso!
Le sue ultime parole furono: “Invano mi tenti, sono tra Gesù e Maria. Deo gratias et Mariae! Non peccherò più!”. Migliaia di persone accorrono ai suoi funerali nella chiesa parrocchiale e poco dopo si sparge la voce che sulla tomba accadono i miracoli.
I due sacerdoti della Compagnia di Maria, i padri Mullot e Vatel, si ritirano a Saint-Pompain insieme con alcuni Fratelli e solo due anni più tardi riprenderanno l’opera tanto cara a san Luigi: la predicazione delle missioni.
San Luigi di Montfort viene solennemente beatificato il 22 gennaio 1888 da parte di Leone XIII. Viene canonizzato il 20 luglio del 1947 dal Papa Pio XII. La sua statua è presente nella basilica di san Pietro in Roma.
La sua tomba si trova nella Basilica san Luigi di Montfort a Saint Laurent sur Sevre, nel paese dove fece la sua ultima missione e dove è morto da un santo. Accanto la sua basilica si trova anche la Basilica di beata Maria Luisa Trichet, la fondatrice delle Figlie della Sapienza.
Le Congregazioni che ha dato alla Chiesa, la Compagnia di Maria, le Figlie della Sapienza e i Fratelli di san Gabriele (congregazione che si è sviluppata dal gruppo dii Fratelli riuniti da san Luigi), crescono e si propagano prima in Francia e poi in tutto il mondo. Esse continuano a testimoniare il carisma di san Luigi Maria, prolungando la sua missione, che è quella di stabilire il Regno di Dio, il Regno di Gesù per mezzo di Maria.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Mater, del 25 marzo 1987, lo indica come testimone e guida della spiritualità mariana. Lui stesso prenderà san Luigi di Montfort come suo maestro spirituale e la spiritualità della consacrazione “Totus Tuus” segnerà profondamente il suo cammino di fede e di vita spirituale. Quando nel 1958, è nominato da Pio XII vescovo ausiliare di Cracovia, sceglie dal Trattato, n. 216 la frase Totus tuus come motto episcopale che poi conserverà anche come Papa. Le parole Totus tuus sono l’inizio della breve formula con cui san Luigi di Montfort riassume la preghiera della consacrazione: “Io sono tutto tuo, mia amata sovrana, e tutto ciò che è mio ti appartiene”. (Trattato n. 266).
Il 20 luglio 1996 ne ha inserito la memoria nel Calendario generale della Chiesa, assegnandola al 28 aprile.
Il vero segreto della vita di santità di san Luigi è rappresentato dalla devozione a Maria. È qualcosa di non solo personale, ma che insegna ovunque egli vada. Creerà la confraternita di Maria Regina dei cuori e scriverà libri che hanno fatto la storia della devozione mariana, quali il “Trattato della vera devozione a Maria” e il “Segreto di Maria”. Esortava tutti a pregare il Santo Rosario come una preghiera efficace che ci porta in Paradiso: “Vi prego dunque vivamente, recitate il Rosario: al momento della morte benedirete il giorno e l’ora in cui mi avete creduto. E, dopo aver seminato nelle benedizioni di Gesù e di Maria, raccoglierete benedizioni eterne nel cielo” (Trattato della Vera Devozione)
Due motti hanno caratterizzato la sua vita: Deo soli, fare tutto e solo per la gloria di Dio, e Ad Iesum per Mariam, andare a Gesù per mezzo di Maria.
La sua vita era una testimonianza viva di come va vissuta una vita totalmente dedicata alla gloria di Dio e spesa al servizio del prossimo aiutando gli uomini a scoprire la bellezza della vita in unione con Gesù e Maria.
Vita di san Luigi Maria Grignion di Montfort (III parte: Missionario apostolico
Abbiamo lasciato Luigi Maria nella grande prova del suo ministero sacerdotale: i fedeli lo amano, le missioni hanno grandi frutti ma i vescovi non gli permettono di svolgere il ministero, mentre lui desidera spendersi a causa del Vangelo. Per questo accoglie il consiglio del proprio confessore e si mise in viaggio alla volta di Roma. Va dal papa per esporre i suoi desideri e progetti e ricevere una luce per il suo apostolato missionario. Un giorno dirà al suo collaboratore Des Bastieres:
“Sono andato a Roma per chiedere personalmente il Papa il permesso per andare nelle missioni lontane con speranza di trovare l’occasione per versare il proprio sangue per la gloria di Cristo che ha versato il suo sangue per me”.
Partendo per Roma lasciò alla prima occasione i pochi denari che aveva ai poveri e convinse un ragazzo spagnolo che lo accompagnò per un gran pezzo a fare lo stesso. Camminavano ogni giorno per circa 25 chilometri e vivevano di elemosina e ospitalità nei villaggi. Era partito alla fine di febbraio del 1706 e dopo soli due mesi aveva percorso 1400 chilometri, tutti a piedi, e si trovava dalle parti di Firenze. A quel punto fece una cosa straordinaria: invece di proseguire verso Roma, fece una deviazione di 300 km e andò a Loreto, per pregare nella Santa Casa dell’Annunciazione.
Arriva a Roma, la città Eterna verso l’ultima settimana di maggio 1706, dopo aver percorso in poco più di tre mesi quasi 2000 km a piedi. Dovrà aspettare ora qualche giorno che il papa lo possa accogliere dopo le festività del Corpus Domini.
Il 6 giugno sarà una data fondamentale nella vita di Montfort. Clemente XI, papa Gianfranco Albani, lo accoglie in udienza privata. Montfort parla della propria attività pastorale e delle difficoltà incontrate, e gli espresse i propri progetti, desideri e la sua disponibilità di andare ovunque, anche nelle missioni Estere. Il papa, che era veramente un uomo sapiente, umile e generoso, riconoscendo la sua vocazione e la sua buona volontà gli disse:
“Signore, lei ha un campo abbastanza vasto in Francia per esercitare il suo zelo. Non vada altrove. Lavori sempre con perfetta sottomissione ai vescovi, nelle diocesi ove sarà chiamato: e Dio benedirà il suo lavoro”.
Per confermare questo suo apostolato, il santo pontefice conferisce a Luigi il titolo di “missionario apostolico”, compiendo un gesto ben raro anche per quei tempi. Infine il Papa volentieri benedice anche un piccolo crocifisso d’avorio che Luigi gli presenta, e che isserà, più tardi, in cima al proprio bastone di pellegrino. Così termina il colloquio che decide la vita del padre di Montfort. Ora Luigi ha definitivamente risolto i suoi dubbi legate al suo apostolato. Ora sa quello che Dio chiede da lui.
Luigi ritorna da Roma, sempre a piedi da pellegrino e da penitente. Incoraggiato e confermato dal papa con il titolo del missionario apostolico, finalmente può prendere vita quel stile di vita missionaria che da sempre ha desiderato.
Nei sobborghi miserabili si vede per la prima volta quello che sarà il suo “stile”: invita tutti gli abitanti all’aperto e con processioni e liturgie viventi fa rinnovare a tutti le promesse del Battesimo. Il successo è incredibile: i fedeli, soprattutto i contadini, i poveri, gli abbandonati, accorrono a questi incontri come mai era successo prima.
Dal marzo del 1707 si dedicherà a tempo pieno alle missioni popolari. In particolare segnano l’incontro con un giovane, Maturino Rangeard che lo seguirà nella vita apostolica: è il primo fratello della futura Compagnia di Maria. Nelle città dove si svolgevano le missioni, i più poveri erano sempre i preferiti e, per loro, Padre Luigi animò numerose iniziative per soccorrerli. Luigi era contento di poter dare un po’ di aiuto materiale ai bisognosi e nel frattempo insegnare loro qualche cosa su Gesù e sulla Madonna.
La fama del missionario si propagò ovunque e la gente semplice cominciò a chiamarlo in un modo bellissimo: “il buon Padre di Montfort”. Cosa faceva di speciale san Luigi? Forse per la prima volta faceva sentire a molte persone che la Chiesa era loro vicina, che Gesù li amava anche se erano poveri e ignoranti, che la Madonna era una mamma a cui ci si poteva rivolgere in qualunque momento con semplici parole. In un suo cantico scrisse per la sua vita: Io corro per il mondo /son guidato da un umor / vagabondo per annunciare ai poveri il Vangelo.
Gli anni successivi sono segnati da molte missioni al popolo. Una in particolare lascerà il segno. È la missione di Pontchateau. Oltre alle catechesi, il missionario convince la popolazione a riprodurre una collina con il Calvario monumentale. Si lavora giorno e notte e dopo 15 mesi di lavoro di centinaia di persone provenienti da ogni parte della Francia e dall’estero viene terminato. Ma proprio questo Calvario doveva causargli molta sofferenza.
Il Calvario di Pontchateau è pronto per essere benedetto, ma la vigilia del giorno dell’inaugurazione, il vescovo di Nantes ne proibì la benedizione per l’ordine del re Luigi XIV che ne ordinò la demolizione, motivata dal pericolo che la collina potrebbe servire di fortezza agli inglesi qualora questi se ne fossero impadroniti.
In realtà non si è mai capito come siano andate veramente le cose, se ad esempio questa triste storia della demolizione per ordine del re fosse il risultato della gelosia di qualcuno o una vendetta.
Pietro de Bastieres, che si recò da san Luigi a consolarlo, rimase sorpreso dalla serenità del santo, il suo viso sereno e gioioso sembrava come se non fosse successo niente, rispondendo semplicemente: “Il Signore ha permesso che lo abbia fatto fare; permette oggi che sia distrutto: sia benedetto il nome del Signore”. È la grande fiducia dei santi che hanno nel Signore, sapendo che tutto è nelle mani di Dio e della sua volontà, che soltanto siamo chiamati solo a riconoscere e accogliere con fiducia, anche nelle prove. San Luigi quindi, non si lasciò quindi scoraggiare da questa prova, al contrario si sentì spinto alla riflessione e alla meditazione, e scrisse proprio in quel periodo un altro bellissimo libricino: la “Lettera agli Amici della Croce”.
Non gli era stato proibito ogni ministero nella Diocesi di Nantes, tuttavia era evidente che se voleva continuare a predicare doveva andare da qualche altra parte, in un’altra diocesi. Non ci pensò dunque due volte quando il vescovo di La Rochelle lo invitò nel 1711 nella sua città. Inizia così l’ultimo, il più maturo e più sereno periodo della sua vita da sacerdote e missionario, in cui predicherà numerose missioni nelle diocesi di La Rochelle e Lucon, appartenenti alla regione chiamata “Vandea Militare”.
Vita di san Luigi Maria Grignion di Montfort (II parte: I primi anni del sacerdozio)
Gli anni della formazione al sacerdozio sono passati veloce e dopo 8 anni della permanenza a Parigi si è avvicinato il momento della sua ordinazione. Con alcuni seminaristi è stato scelto di compiere il tradizionale pellegrinaggio di ringraziamento a Chartes che lui fece ben volentieri.
Giovane Luigi sa che un importante periodo della sua vita sta finendo e che presto diventerà sacerdote. In quel pellegrinaggio nella preghiera a Maria esprime i suoi desideri e le sue paure, le speranze e le attese. Rinnova la consacrazione della santa schiavitù dell’amore che già fece nel seminario; rinnova il voto della povertà che fece partendo per Parigi; e rinnova il voto della castità che fece nella cattedrale di Parigi davanti alla statua della Madonna. Ora a Maria affida di nuovo completamente tutto sé stesso e il suo futuro ministero sacerdotale.
Ha tanto atteso di essere ordinato sacerdote per dedicarsi all’evangelizzazione e alla salvezza delle anime, ma poco prima dell’ordinazione sente di non essere degno a ricevere gli ordini sacri. Forse su questo senso di inadeguatezza ha influito anche la sua formazione alla scuola sulpiziana che accennava la grandezza e la sublimità della vocazione sacerdotale. San Luigi quasi vorrebbe posticipare l’ordinazione, ma il superiore del seminario e suo controverso padre spirituale Leschassier interrompe l’incertezza di Luigi e stabilisce la data dell’ordinazione.
Il 5 giugno del 1700 Luigi di Montfort venne ordinato sacerdote nella cappella arcivescovile vicino a Notre-Dame. Dopo pochi giorni celebra la sua prima messa all’altare della Madonna nella Chiesa di San Sulpizio. Un testimone presente a quella messa diceva: “Ho visto un angelo all’altare!” Durante tutta la sua vita san Luigi vivrà la santa Messa come momento centrale della sua vita spirituale e apostolica, celebrandola con grande devozione e raccoglimento.
Scelta della vita missionaria
Ora san Luigi è pronto per “scatenarsi” nelle attività di apostolato come lo aveva in mente, ma prima di lanciarsi rimane ancora qualche mese a Parigi. Intanto il superiore del Seminario gli chiede se volesse rimanere nel seminario e lavorare nella formazione, mostrandogli con questo gesto una grande stima e fiducia nei suoi confronti. Ma lui è spinto dal desiderio di una vita missionaria, specialmente fra i poveri e gli ultimi nella società.
A settembre, padre Luigi viene inviato nella città di Nantes, affidato ad una comunità missionaria del sacerdote Renato Léveque. Questi aveva creato in quella città una comunità di predicatori delle missioni popolari, e arrivato ormai alla vecchiaia più avanzata, ha bisogno di nuove forze e giovani preti da avviare alla predicazione. Luigi Maria accetta, convinto com’è, che la vita di seminario non faccia per lui e che si sente portato verso la vita apostolica.
È pieno di speranza perché pensa di poter fare molto di quello che aveva in mente, ma trascorre l’inverno in penosa inattività: la comunità non è in grado di soddisfare le sue attese e sue esigenze di apostolato. Non vuole scendere ai compromessi di uno stile di vita rilassante di fronte ai suoi desideri e ideali di santità. Considera varie soluzioni, anche di diventare eremita, ma in lui vince sempre la convinzione d’essere chiamato a “predicare le missioni ai poveri”. Diceva anzi, che il suo progetto era quello di fondare “una piccola compagnia di sacerdoti missionari” sotto lo stendardo della Madonna. Tra i suoi desideri, già da seminarista, era anche quello di partire per Canada dove i sulpiziani avevano una loro missione e dove mandavano i chierici in missione.
Cappellano a Poitiers
Dopo alcuni mesi un’importante dama, signora di Montespan, l’antica istitutrice convertita del re Luigi XIV che san Luigi aveva conosciuto a Parigi, lo invita ad andare a lavorare nell’Ospedale di Poitiers. Padre di Montfort non è molto convinto che sia adatto per quel servizio pastorale che lo vedrebbe rinchiuso in un ospedale mentre si sente spinto interiormente per le missioni, ma decide di partire. Nel novembre del 1701 diventa cappellano dell’Ospizio di Poitiers.
È rimasto famoso anche l’episodio del suo arrivo nell’ospedale: appena arriva, si ferma nella cappella dell’ospedale ed è talmente preso dalla preghiera silenziosa che rimane là alcune ore finché un povero un po’ più attento lo scambia per un disperato e pensa bene di organizzare una colletta per lui. Quale sorpresa quando lui e i suoi amici scoprono che era il prete che avevano mandato per loro! A questo punto Padre Luigi sente ancor più come suo l’incarico di cappellano, ma come entra nell’ospedale rimane sbalordito! Quello non è un “Ospedale Generale” ma una specie di ricovero dove oltre ai malati venivano richiusi i più miserabili tra i poveri, per evitare che vagassero per la città.
L’esperienza di Poitiers segnerà profondamente l’anima di san Luigi, che identificherà nell’esperienza della croce e della sofferenza uno dei momenti privilegiati dell’incontro con Gesù Cristo.
Questo periodo è anche un tempo di prova per Luigi Maria perché non tutti comprendono il suo modo di organizzare la vita nell’ospedale. Lui vorrebbe rinnovare la vita di quell’ospedale, ma dopo qualche mese è invitato dall’amministrazione a lasciare l’ospedale. I poveri però non l’hanno dimenticato e ora gli scrivono, pregandolo di ritornare, facendo anche la petizione al vescovo. Con il consenso del vescovo ritorna a Poitiers come direttore generale dell’Ospedale, riprendendo la riforma dell’istituto.
Incontro provvidenziale con Maria Luisa
A Poitiers incontra Maria Luisa Trichet, figlia del procuratore generale della città. Un giorno Maria Luisa vede rientrare Elisabetta, sua sorella, e tutt’accesa, traboccante di entusiasmo diceva: “Oh! Luisa! se sapessi che bella predica ho inteso or ora; no, non ho mai sentito in vita mia nulla di così commovente: il predicatore era un santo”. Mentre Elisabetta cerca le parole che riescano a rendere il suo sentimento, Maria Luisa, di colpo, semplicemente formula in sé una decisione: chiederà a questo sacerdote che accetti la sua direzione spirituale. Il giorno dopo ella va in chiesa; il padre di Montfort sta confessando: Maria Luisa aspetta il suo turno, e quando questo viene, la prima parola di lui la sorprende: “Chi vi ha mandato qui, figlia mia?” “Mia sorella” risponde stupita. “Oh! No, figlia, non è stata vostra sorella: è stata la Madonna...”
San Luigi divenne il suo padre spirituale e da quel momento iniziò l’amicizia spirituale tra i due futuri cofondatori. Maria Luisa percorre più e più volte la strada che conduce all’ ospedale, dove Luigi serviva i poveri, divenendo una frequentatrice assidua della casa della sofferenza e aiutando il giovane prete Luigi a riorganizzare l’ospedale, desiderando dedicarsi al servizio dei poveri.
Così, nel pieno dell’adolescenza, a 17 anni, nel cuore di Maria Luisa nacque il desiderio e la vocazione di offrire la sua vita a Dio e ai poveri, e lo confida al Padre di Montfort, che le propone di venire a vivere all’ospedale dedicandosi al servizio dei poveri. Poco dopo, un’altra giovane donna, Caterina Brunet, la raggiungerà. Sono i germi di una nuova comunità religiosa all’orizzonte e le prime “Figlie della Sapienza”.
Il 2 febbraio 1703, san Luigi consegna a Maria Luisa il primo abito delle Figlie della Sapienza con una grande croce e la corona del Rosario. Nel consegnarlo, Montfort le dice: “Io mi chiamo Luigi Maria, tu Maria Luisa; aggiungi il nome di Gesù che prendi come unico tesoro della tua vita“. Saranno proprio loro, fra qualche anno, le prime suore monfortane, le prime “Figlie della Sapienza”.
Scrittore e maestro della vita spirituale e mariana
In quegli anni scrive nei suoi quaderni la gran parte di quello che sarà poi la sua prima opera teologica, L’Amore dell’Eterna Sapienza, dove il Montfort espone la centralità della croce nella vita del cristiano e spiega che “Gesù lo si ama poco perché lo si conosce poco”: “Conoscere Gesù Cristo, la Sapienza incarnata, è sapere abbastanza. Sapere tutto e non conoscere Lui, è non saper nulla”. Lo scritto è un caposaldo della sua dottrina, perché vi indica già la vera devozione a Maria come “il più meraviglioso dei segreti” e come la via più semplice e diretta “per acquistare la Divina Sapienza”.
Il tempo della prova
Intanto Luigi si mette al servizio dell’Ospizio di Poitiers con tutto l’amore possibile e cerca di migliorare la situazione, di organizzare meglio le cose, ma questo suo modo di fare non viene capito, anzi qualcuno dei capi dell’ospedale è invidioso di lui. Luigi Maria incontra forti resistenze con le sue riforme, e dopo alcuni mesi, per la seconda volta è costretto di lasciare l’ospedale. È la sorte di tanti santi e tante persone che colmate dalla grazia e guidate dallo Spirito del Vangelo non vengono sempre compresi nel loro stile radicale e profetico incontrando tante volte le ostilità perché turbano le comodità dei cristiani tiepidi.
Comincia a predicare le missioni a Poitiers e dintorni, sentendo che questo è il compito al quale Dio lo chiama. Inizia ad usare nelle missioni i metodi propri che più tardi gli saranno caratteristici: invita a rinnovare le promesse del Battesimo e organizza le processioni e liturgie viventi che attirano i cristiani come mai era successo prima di lui, ma i suoi successi suscitano le gelosie in alcuni che si rivolgono al vescovo per fermarlo. All’inizio della Quaresima del 1706 arriva anche il vieto del vescovo di Poitiers, De la Poype, di predicare nella diocesi di Poitiers.
È forse il periodo più difficile per il Montfort. Che fare? Luigi ripensò agli anni passati e gli sembrava che fino a quel momento la sua vita fosse stata un fallimento dietro l’altro. Nonostante tutto era sempre più convinto che la sua vocazione fosse di predicare le missioni al popolo e ora il vescovo gli proibiva di farlo! Pensò allora a vari possibili impegni, tra cui quello di partire per le Missioni Estere, ma non riusciva a decidersi. Parlò allora con il suo confessore, un frate gesuita che gli voleva molto bene, il quale gli consigliò di andare a Roma e chiedere udienza al Papa.